I like America and America Likes Me (Coyote)


Testo di Maria Maddalena Monti

Joseph Beuys (Krnfeld 1921- Düsseldorf 1986)
I like America and America Likes Me (Coyote)
Performance 1974. Düsseldorf- New York



Beuys è Beuys, voler ricondurre l’artista tedesco a semplice esponente di un movimento, come in questo caso Fluxus, non è sbagliato, ma è assolutamente insufficiente a comprendere la portata di questa grande figura. Fluxus nasce nell’america degli anni’ 50, da un cenacolo di artisti che si frequentano e organizzano i cosiddetti “concerti fluxus”, con John Cage, Georges Maciunas, George Brecht, Henry Flynt, ma poi si espande fuori dagli States in Europa con Beuys, Ben Vautier, Robert Filliou e Giuseppe Chiari (solo per citarne alcuni) e in estremo oriente con Nam June Paik e Yoko Ono. Alcuni di questi artisti sono tuttora attivi e altri come Cage e Beuys sono morti, lasciando però una profonda influenza nella cultura attuale. Beuys ha partecipato attivamente all’attività di Fluxus, cio nonostante per comprendere la sua opera occorre rifarsi ad elementi specifici riguardanti la vita e la personale poetica dell’artista.

Durante la II guerra mondiale il giovane Beuys viene arruolato nell’aereonautica della Wermacht, ma il suo aereo precipita nelle nevi della Russia e si crede spacciato. In effetti Beuys è gravemente ferito, ma le popolazioni locali di culto sciamanico lo raccolgono, lo cospargono di grasso e lo avvolgono nel feltro. Così facendo lo salvano; per Beuys è come una resurrezione, una seconda vita. Tornato in patria, si decide ad abbandonare la carriera di medico per dedicarsi all’arte. Ciò avviene sotto la spinta di una forte tensione mistica, che si rifà costantemente alla cultura sciamanica e alla sua esperienza di “piccola morte”. La figura dello sciamano è stata descritta da alcuni antropologi e filosofi con la metafora del chirurgo ferito [1]. Si tratta cioè di una persona che è in grado di curare e di aiutare gli altri, ma che al tempo stesso è anche fragile, vulnerabile e sofferente. Tutti questi aspetti compaiono nell’opera dell’artista tedesco. Egli, infatti, era una figura vulnerabile e soggetta a depressioni e nevrosi, ma anche carico di un grande slancio verso gli altri. Era quindi una persona da un lato ripiegata su se stessa per il suo vissuto individuale, ma contemporaneamente molto impegnata e sensibile sul campo delle tematiche sociali e del ruolo politico-sociale dell’arte. E’ in questo quadro di riferimenti che va collocata la performance nota come Coyote.

L’opera comincia quando Renè Block dagli Stati Uniti annuncia la mostra. Dopodiché da Düsseldorf un’ambulanza arriva da Beuys, che intanto è stato avvolto nel feltro e sdraiato su di una barella. Quindi viene portato dall’ambulanza in aeroporto. Arrivato all’aeroporto di New York, lo attende un’altra ambulanza che lo porta nella galleria. Nella galleria nel frattempo è stato condotto un coyote catturato da poco e liberato per l’occasione. Lì Beuys si libera dell’involucro di feltro e comincia a vivere con il coyote selvatico. In terra c’è del fieno e ritagli di feltro. Beuys si può servire di un bastone da pastore o del feltro per tener a bada l’animale, ma piano piano riesce a prendere confidenza con il coyote, tanto che l’animale finisce con lo sdraiarsi accanto a lui. Poi il ritorno a Düsseldorf viene eseguito come l’andata con tanto di ambulanze. Ma l’azione non è finita qui: esiste un epilogo, che in un certo senso è anche il prologo di quest’azione. Nella prigione di Glasgow in Scozia c’è un prigioniero condannato all’ergastolo che si chiama Jimmy Boyle. Boyle in carcere ha cominciato a scolpire e una sua opera rappresenta la testa di un coyote sormontata da quella di Beuys con il cappello. L’azione quindi si conclude con Beuys che va alla Glasgow’s Barlinnie Prison per far visita al prigioniero, il quale gli regala la statua da lui scolpita in carcere. Come si vede nella trama di questa performance s’intrecciano vari vissuti umani, il pathos del prigioniero, a cui fa eco quello dell’artista “ferito” che è posto anche lui dentro una gabbia ove lo aspetta un terzo prigioniero: il selvatico coyote. Prigioni e sofferenze agite e simulate si muovono sullo sfondo di una comune base sciamanica. Infatti, il coyote è un personaggio tipico delle culture degli indiani d’America. Il suo carattere selvaggio è fondamentale, giacché esso incarna proprio aspetti negativi e inquietanti della natura selvaggia. Esso è, infatti, identificato dagli storici delle religioni come una figura di trickster. Quest’ultimo sta a indicare una specie di goffo antagonista del creatore che cerca di emularlo e di boicottarlo con stolte furbizie, ma alla fine riesce per lo più a nuocere a se stesso. In un certo senso è un po’ l’equivalente della figura del lupo nero e cattivo delle fiabe europee. Ecco quindi che il rapporto di Beuys con il coyote è paragonabile all’ammansimento del lupo di francescana memoria, ma ripresa in chiave sciamanica. Praticamente il “chirurgo ferito” ( tanto è ferito e vulnerabile che si fa trasportare in ambulanza)[2] si espone al contatto con lo spirito trickster per avere ragione di esso. E, infatti, l’opera di quest’artista ammansitore di coyte o di lupi, assume ancora più significato in relazione all’esperienza della prigione, dove il carcerato sconta il proprio rapporto con la parte negativa di se.
Dunque, infine, l’operazione artistica di Beuys si propone quasi come una sorta di rito privato i cui significati vanno molto al di là di considerazioni di ordine storico-stilistico.

I Like America e America Likes Me, 1974 (arrivo in barella)
© 2008 Artists Rights Society (ARS), New York / VG Bild-Kunst, Bonn

I Like America e America Likes Me, 1974
Foto Tisdall Copyright Caroline / Courtesy Ronald Feldman Fine Arts, New York

I Like America e America Likes Me, 1974
Foto Tisdall Copyright Caroline / Courtesy Ronald Feldman Fine Arts, New York

I Like America e America Likes Me, 1974
Foto Tisdall Copyright Caroline / Courtesy Ronald Feldman Fine Arts, New York

Tutte le foto sono tratte da: http://www.e-flux.com/journal/view/12

[1]“Per poter curare, il medico non deve mai pensarsi separato dal suo aspetto di paziente. La repressione di questo polo della coppia porterebbe il medico a una soglia pericolosa caratterizzata dalla convinzione di non avere nulla a che fare con la malattia. Analogamente, quando una persona si ammala, è importante che venga alla luce la figura del paziente/medico, cioè il fattore di guarigione interno al paziente, la cui azione curativa è uguale a quella del medico che compare sulla scena esterna. Un medico “senza ferita” non può attivare il fattore di guarigione nel paziente e la situazione che si crea è tristemente nota: “da un lato sta il medico sano e forte, dall’altro il paziente, malato e debole”. (introduzione al saggio Dove si nasconde la salute di Gadamer)

Gadamer H. G., Dove si nasconde la salute. Milano: Cortina Raffaello, 1994


[2] L’ambulanza ha però anche altri significati più direttamente sacrali. Infatti l’artista si fa trattare come un malato in quanto si espone al contatto con l’Altro, al contatto con lo spirito selvatico del lupo nero(=coyote), in questo senso deve essere isolato e protetto come se fosse un possibile contaminato. Questa è appunto una forma di “consacrazione” in senso antropologico-religioso. Consacrare infatti significa essenzialmente separare.



Il chirurgo ferito maneggia l’acciaio
Che indaga la parte malata;
Sotto le mani insanguinate sentiamo
L’arte tagliente e pietosa di chi guarisce
E scioglie l’enigma del diagramma della febbre.

La nostra unica salute è la malattia
Se obbediamo all’infermiera morente
La cui cura costante non è di piacere
Ma di ricordarci la maledizione nostra e d’Adamo,
E che per guarire la nostra malattia deve peggiorare.

Tutta la terra è il nostro ospedale
Finanziato da un milionario in rovina,
Dove, se va bene, moriremo
Dell’assoluta cura paterna
Che non ci lascerà mai, ma non ci permette di arrivare
in nessun luogo.

T. S. Eliot


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